La Corte di Cassazione, sez. IV, con la sentenza 29 gennaio 2020, n. 3731 (testo in calce) ritorna ad occuparsi della responsabilità penale che origina da un infortunio sul lavoro, sia a carico delle figure apicali preposte alla tutela alla salute e sicurezza dei dipendenti, e sia della responsabilità a carico persona giuridica ai sensi del Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.

È proprio in proposito alla responsabilità “amministrativa” dell’ente che la pronuncia, appare particolarmente degna di nota.

La stessa, infatti, diviene l’occasione per la Suprema Corte per ricostruire gli approdi giurisprudenziali più rilevanti in materia e per ritornare a ribadire con maggiore vigore la centralità e l’importanza del modello di organizzazione e gestione, in primis della sua adozione e quindi della sua idonea ed efficace attuazione utile a soddisfare e realizzare la sua capacità esimente.

Onore probatorio e criteri di imputazione

La sentenza in esame ribadisce come le Sezioni unite dello stesso Giudice di legittimità (sent. n. 38343 del 24.04.2014) si fossero espresse nel confermare la natura di “tertium genus” del sistema normativo introdotto con il D.Lgs. n. 231/2001, in quanto capace di coniugare aspetti propri dell’ordinamento penale con quello amministrativo. In particolare, si rimarca come quella pronuncia avesse chiarito, in tema di riparto dell’onere probatorio, che l’onere di dimostrare l’esistenza di un illecito dell’ente è in capo alla pubblica accusa, mentre alla persona giuridica “incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.”

Con riferimento ai criteri di imputazione della responsabilità dell’ente, i Giudici di piazza Cavour, con un utilissimo lavoro di esegesi, richiamano le progressive evoluzioni della giurisprudenza circa il significato da attribuire all’ “interesse” e al “vantaggio”.

La preposizione normativa di cui all’art. 5 del Decreto, infatti, recita: “L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;

b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

2. L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.

La Corte rimarca come le nozioni di “interesse” e di “vantaggio” si riferiscano a concetti diversi dove il primo esprime una valutazione “ex ante” (da compiere al momento della commissione del fatto) e il secondo una valutazione “ex post” (cioè da compiere sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione del fatto illecito).

Il Collegio si spinge poi oltre per declinare queste considerazioni ai reati colposi d’evento come, appunto, le lesioni colpose e gli omicidi colposi, in quanto illeciti penali derivanti da scelte calibrate sulla base dell’interesse della persona giuridica o finalizzate all’ottenimento di un vantaggio per la stessa.

Fatte le dovute premesse, il Giudice decide di “calare nel concreto” questi principi ed insiste nell’affermare che in tema di omicidio colposo o lesioni personali, derivanti dalla violazione delle norme sulla tutela sulla salute e sicurezza sul lavoro (cui all’art. 25-sexies), “sussiste l’interesse dell’ente nel caso in cui l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre si configura un vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività”.

Il concetto di risparmio

La pronuncia tuttavia persevera nel tentativo di voler essere via via più esplicita nell’affermare come i criteri di imputazione dell’ente possono consistere anche nell’aver attuato una riduzione dei tempi di lavorazione con l’obiettivo di attuare un “risparmio” dei costi (vedi sub 4.3.5).

Sul concetto di “risparmio”, la Corte pare voler proprio togliere ogni dubbio circa la sua concreta portata ed incidenza e, con lo scopo dichiarato di esemplificare, elenca quali possano essere le sue concrete manifestazioni. E vale a dire quella riduzione di spesa praticata sul materiale di scarto, sugli interventi di manutenzione, sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e di informazione del personale.

La valutazione giudiziale del modello e… della sua esistenza, prima di tutto

Per quanto attiene alla valutazione di idoneità del modello, nel respingere le ragioni della s.r.l., poi condannata, la Cassazione illustra l’iter valutativo che il giudice di merito deve compiere, vale a dire:

  1. accertare l’esistenza o meno di modello organizzativo e di gestione ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 231 del 2001;
  2. verificare che lo stesso sia conforme alle norme;
  3. infine, che lo stesso sia stato efficacemente attuato o meno nell’ottica prevenzionale, prima della commissione del fatto.

Con riferimento all’adozione del modello, la pronuncia chiarisce inequivocabilmente come non sia sufficiente addurre, ai fini di una mitigazione/esenzione della responsabilità della società, in tema del rispetto delle norme a tutela dei lavoratori, l’efficacia di un documento di valutazione dei rischi (DVR) in quanto “è cosa diversa dal richiamato modello organizzativo”. Il Supremo collegio, quindi, giunge alla conclusione che la stessa organizzazione, non avendo dimostrato l’esistenza dello stesso ai sensi del D.Lgs. 231 2001, non possa attribuirsi efficacia esimente della responsabilità “amministrativa” delle persone giuridiche.

L’adozione di un Modello di organizzazione gestione e controllo e la sua efficace adozione, anche in conformità dell’art. 30 dello stesso D.Lgs. n. 81/2008, diviene dunque un’occasione per l’imprenditore collettivo di dotarsi degli strumenti idonei ad evitare un’imputazione a titolo di “colpa in organizzazione” o mitigarne le pregiudizievoli conseguenze fornendo nel processo il primo argomento probatorio difensivo utile a conseguire quegli effetti liberatori.

CASSAZIONE PENALE, SENTENZA N. 3731/2020 >> SCARICA IL TESTO PDF